Cosa rischia il difensore se non comunica alla parte assistita la sentenza di rigetto di un ricorso tributario? 

I fatti

Un imprenditore veniva attinto da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate “raddoppiava” i ricavi dichiarati e chiedeva il pagamento di oltre € 200.000 a titolo di tributi, interessi e sanzioni.

La rettifica reddituale si basava esclusivamente sullo “studio di settore”.

L’imprenditore si faceva assistere da un professionista (un perito commerciale di un’associazione di categoria), al quale conferiva mandato anche per l’eventuale giudizio d’appello e presso il quale eleggeva il domicilio.

Il difensore proponeva ricorso alla competente CTP, che lo rigettava ritenendo fondato l’accertamento presuntivo dell’Agenzia.

La segreteria del Giudice tributario comunicava la pronuncia nel domicilio professionale indicato dal contribuente.

Il difensore, ricevuta la sentenza, taceva al proprio assistito l’epilogo del ricorso e l’opportunità di proporre appello dinanzi alla CTR.

Tant’è che il contribuente conosceva l’esito negativo dopo alcuni anni, quando, ormai formatosi il giudicato tributario, riceveva una cartella con cui l’Esattore intimava il pagamento definitivo della somma accertata dall’Agenzia.

Tuttavia, la scadenza del termine perentorio precludeva al cliente la proposizione del gravame tributario.

Quale danno è stato arrecato al cliente

Pagare integralmente la somma accertata dall’Agenzia (oltre € 200.000) senza poter contestare la decisione sfavorevole.

Il contribuente, non possedendo i mezzi economici necessari a saldare il debito tributario, temeva di perdere i propri immobili (tra cui l’abitazione) a seguito dell’esecuzione avviata dopo la notifica della cartella di pagamento.

Cosa non sapeva il cliente (pillola tecnica)

Poteva promuovere dinanzi al Giudice civile l’azione di responsabilità contro il professionista che lo aveva assistito nel processo tributario, in modo da ottenere il risarcimento dei danni sofferti, e quindi la provvista per saldare il debito tributario, ormai divenuto incontestabile.

Occorreva, però, dimostrare la sussistenza della responsabilità contrattuale, e quindi che, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto (comunicando la pubblicazione della sentenza tributaria di rigetto), il cliente avrebbe probabilmente conseguito un “vantaggio” consistente nella riforma della pronuncia di primo grado, ovvero nella caducazione della pretesa avanzata dall’Agenzia delle Entrate, con azzeramento del debito tributario.

Per conseguire il risarcimento del danno in misura pari alla somma richiesta con la cartella di pagamento, il cliente doveva soddisfare la regola della preponderanza dell’evidenza (cd. “più probabile che non”)applicabile in materia di responsabilità professionale, dimostrando sia l’inadempimento del difensore, sia il “vantaggio” che avrebbe conseguito a seguito dell’esercizio dell’attività processuale denegatagli, che nella specie era individuabile nella proposizione dell’appello tributario.

Inoltre, il cliente doveva dimostrare il preciso ammontare del danno arrecatogli dalla negligenza professionale.

L’attività difensiva era complessa perché, oltre a richiedere l’allegazione dei fatti costitutivi della responsabilità del professionale, esigeva di coltivare positivamente il giudizio prognostico sull’esito dell’attività omessa da parte del professionista, nel senso di dimostrare l’illegittimità dell’avviso di accertamento e della sentenza di primo grado in quanto l’evasione tributaria era stata inferita soltanto con lo “studio di settore”.

In altre parole, era indispensabile indicare le ragioni in forza delle quali appariva altamente probabile l’accoglimento del gravame tributario perché la rettifica reddituale si fondava unicamente sullo “studio di settore”, quale indizio inidoneo ex se per integrare una presunzione semplice ai sensi degli artt. 2727/2729 cc, e quindi per dimostrare l’evasione reddituale.

Pertanto, si trattava di proporre un atto di citazione all’interno del quale dovevano essere sviluppati gli errori giuridici e fattuali commessi dal Giudice tributario di primo grado, che avrebbe reso probabile l’accoglimento dell’appello.

Come sono andate le cose

Sono state accolte le richieste del cliente.

Il Giudice civile ha affermato la responsabilità del professionista per mancata comunicazione dell’avvenuto deposito della pronuncia tributaria sfavorevole al cliente, con conseguente preclusione della possibilità di proporre impugnazione, rispetto alla quale lo stesso cliente ha dimostrato che l’appello avrebbe avuto concreta possibilità di accoglimento.

Il Tribunale ha apprezzato negativamente la condotta del difensore nel senso di ritenere che, ove costui avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito – alla stregua di criteri probabilistici indicati dal “diritto vivente” –avrebbe conseguito un “vantaggio” consistente nella riforma della decisione tributaria, e quindi nella caducazione della pretesa avanzata dall’Agenzia delle Entrate, con azzeramento del debito tributario.

Si riporta la motivazione della decisione civile di accoglimento della domanda risarcitoria:

Trib. Pisa n. 486/2016

“Il Tribunale, facendo proprie le conclusioni del c.t.u., in quanto ben motivate e condivisibili, accoglie la domanda nei limiti di seguito precisati. È infatti emerso dalla relazione del c.t.u. che il Tamburini in appello avrebbe ottenuto “più che verosimilmente” una sentenza di riforma, pertanto, la mancata comunicazione da parte del dott. Galletti all’odierno attore circa il rigetto del ricorso e il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, rimasta inappellata, hanno comportato un danno all’odierno attore, il quale, appellando tale sentenza avrebbe “più che verosimilmente” ottenuto l’accoglimento della propria domanda”. 

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